Emanuela Orlandi, “chiamatemi Leone”: il ruolo dell’ex agente 007 Gianfranco Gramendola. Secretata la sua audizione in commissione

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Emanuela Orlandi, “chiamatemi Leone”: il ruolo dell’ex agente 007 Gianfranco Gramendola. Secretata la sua audizione in commissione

Emanuela Orlandi, “chiamatemi Leone”: il ruolo dell’ex agente 007 Gianfranco Gramendola. Secretata la sua audizione in commissione

Un’audizione chiave quella di giovedì 15 maggio in commissione Orlandi-Gregori, che potrebbe aprire nuovi passaggi nel labirinto oscuro di intrighi che avvolgono e stringono la sorte ancora sconosciuta di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana misteriosamente scomparsa a 15 anni il 22 giugno del 1983. Ma l’ex 007 Gianfranco Gramendola ha scelto di parlare a porte chiuse e così la sua audizione davanti ai commissari di Palazzo San Macuto resta secretata. All’epoca dei fatti, l’uomo del Sisde di Roma (i servizi segreti civili dell’epoca, oggi Aisi) prese in carico i rapporti con la famiglia di Emanuela, figlia del messo papale Ercole Orlandi a cui suggerì di affidare il caso all’avvocato Gennaro Egidio, oggi scomparso e spesso ricordato come “l’avvocato dei misteri” dalle cronache per i suoi rapporti con gli apparati dello Stato e con Il Vaticano. E la sua parcella, insostenibile per una famiglia ordinaria come quella di Emanuela, fu pagata proprio dai Servizi. Perché Egidio era un penalista di fama internazionale, con studi a Roma, Milano e New York. Da un’intervista al fratello di Emanuela, Pietro Orlandi: “Non fu una nostra scelta. Ce lo propose l’agente Gramendola, consigliandocelo caldamente, tanto che disse: Cari Orlandi, questo avvocato è la mano di Dio. Dopo pochi giorni Egidio ci presentò una parcella salatissima per le prime spese, precisò. Ricordo ancora l’espressione di mio padre: Ma questa cifra non la guadagno neanche in un anno! Andò a parlare con Gramendola, che ci disse di non preoccuparci. E infatti non arrivò mai più una parcella. Da tutto ciò mio padre dedusse che l’avvocato era in stretti rapporti con i servizi segreti, e che pagava lo Stato”. Gramendola pare abbia smentito questa ricostruzione. (fonte: Il Corriere).

L’ufficiale dell’Arma oggi in pensione fu tra i primi a entrare in casa Orlandi, tra le mura leonine, pochi giorni dopo il sequestro della Vatican Girl. Ma quali sono i punti di questa vicenda che lo vedono coinvolto nelle indagini e nel tentativo, purtroppo non andato a buon fine, di riportare a casa Emanuela Orlandi? L’ex carabiniere entrò in casa di Ercole Orlandi dicendo loro: “Chiamatemi Leone”, questo doveva essere il suo nome in codice. Al suo fianco, come è emerso nel corso degli anni, c’era spesso un giovanissimo Giulio Gangi, agente appena entrato nei Servizi e amico dei cugini di Emanuela, Pietro e Monica Meneguzzi. “Leone”, durante le prime indagini su Emanuela seguì una pista precisa: quella del duplice ricatto contro il Vaticano e l’allora Papa Polacco Wojtyla, sia sul fronte geopolitico che su quello economico, legato ai conti dello Ior (la Banca Vaticana) e al crack del Banco Ambrosiano che ha portato alla controversa morte (mascherata da suicidio) del banchiere “di Dio” Roberto Calvi.

In base a quanto riportato oggi dal Corriere, l’ex agente Gramendola è stato citato nel passaggio di un verbale ufficiale dei Servizi in cui si cita la testimonianza di monsignor Francesco Saverio Salerno, alta eminenza vaticana (deceduto nel 2017) che il 9 maggio 1995 dichiarò ufficialmente: “Appresi dal Mari (Arturo, fotografo ufficiale dei papi, ndr) di una conversazione avvenuta nell’appartamento pontificio, immediatamente dopo la scomparsa di Emanuela, durante la quale Gugel (Angelo, maggiordomo di Wojtyla, padre di due ragazzine amiche della scomparsa, ndr) si era lamentato della scarsa protezione accordata ai dipendenti vaticani e ai familiari degli stessi, riferendo che per qualche tempo la figlia Raffaella era stata seguita da sconosciuti. Alla citata conversazione parteciparono, oltre al Gugel, Berardini, Gusso e lo stesso Mari”. (fonte: Il Corriere). Se oggi l’ex agente Gramendola confermasse alla commissione questo passaggio messo agli atti, ciò proverebbe che Emanuela Orlandi fu “presa” solo perché cittadina vaticana, mettendo in secondo piano le altre, pur sempre probabili, piste.

Il Fatto Quotidiano

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